Un diciannovenne con dubbi sulla propria sessualità si trova diviso tra i suoi amici virili, la famiglia e gli uomini più anziani che conosce online.
Eliza Hittman ha affermato di non essere affatto interessata al coming-of-age come genere che rappresenti un cambiamento affascinante ma fine a se stesso, ma anzi usa la giovinezza sullo schermo come discorso più ampio che vuole riflettersi e aprirsi al mondo. Lo ha fatto nella sua opera prima del 2015 It Felt Like Love, in cui usa per la prima volta il suo sguardo femminile e amorale sulla fragilità e la vulnerabilità di una 14enne che cerca sé stessa attraverso gli occhi maschili dei suoi amici, più grandi ed esperti in fatto di sessualità e (forse) di amore.
In realtà l'apparente fragilità e vulnerabilità di Lila, la protagonista, non sono altro che il potenziale di una forza femminile che la Hittman aspetta a mostrarci, riponendo sulla protagonista solo affetto e ammirazione. It Felt Like Love diventa un inno al momento di transizione femminile, così prezioso e caro alla regista.
In Beach Rats, invece, ci trasporta letteralmente nella lotta interiore di un giovane ragazzo privo di ambizioni, che passa la sua estate sulle spiagge di Coney Island bevendo, fumando e flirtando con le ragazze. Assieme al suo gruppo di amici, Frankie (Harris Dickinson) si muove come un fantasma senza meta nelle metro, nei luna park, nella sua casa dove vive con la madre (Kate Hodge), la sorella minore e il padre, in fin di vita per una malattia. Costretto tra il desiderio di libertà e la necessità di responsabilizzarsi come capofamiglia, la sua stanza è l'unico luogo sicuro. Navigando segretamente nelle chat room gay, lo schermo del computer per Frankie diventa la proiezione dei suoi desideri carnali inespressi e inesprimibili. La webcam diventa lo specchio in cui esibire e mostrare l'immagine che si vuole dare di sé, posando in pose macho in cui l'illusione tra essere e apparire si scontrano continuamente. La sua sessualità fluida e il suo desiderio omoerotico si urtano contro gli ideali di mascolinità del suo gruppo di amici - ignari fino ad un punto cruciale del film - della lotta interiore di Frankie.
Girato interamente in 16mm la telecamera della Hittman non giudica mai, ma si incolla letteralmente ai corpi in particolare quello del protagonista, sui pettorali, sul torso, sul sudore nelle braccia. Ma anche con tanti primi piani, vicinissimi al volto, sugli occhi blu profondi e drammatici dell'attore inglese Harris Dickinson, che nascondono dietro l'apparente sfrontatezza, un'anima disperata alla ricerca di sé stesso. Il contatto fisico infatti diventa cruciale. Dalle mani di Frankie e del suo amante passeggero che si sfiorano per rivelarsi, a quelle di Frankie sul corpo Simone (Madeline Weinstein) che in quel momento acquistano un significato tutto diverso.
Beach Rats è un film che non ci invita a guardare ma ci forza a farlo. E' un film sull'atto del vedere e dell'essere visto, sulle mani che coprono gli occhi e sulla scoperta di sé stessi e sopratutto sulla necessità di farlo in relazione a come ci vedono gli altri. La Hittman ha scritto i suoi personaggi guardando gli spazi (come Brooklyn) in cui ragazzi come Frankie si muovono. Frankie guarda lo schermo in cui corpi maschili si esibiscono in performance e pose erotiche; i suoi sguardi persi sui passeggeri della metro e sulle onde dell'oceano diventano epifania e realizzazione del dolore.
La fotografia di Hèlene Louvart (Pina, Lazzaro Felice), inoltre confeziona tutto in un'atmosfera ipnotica, organica e naturale sopratutto nelle scene di notte sulla siaggia. Così come la colonna sonora originale che si alterna a brani hip hop e R&B più moderni. Straziante ma incantevole, Beach Rats è un dono tra i film presentati al Sundance nel 2017 (in cui la Hittman ha vinto il premio per la miglior regia di un film drammatico). Non distribuito in Italia ce lo regala in questi giorni Netflix. E questo film, di sicuro, ci regala uno dei finali più incantevoli e più significativi degli ultimi anni: il dolore di Frank finalmente si libera, si evolve per diventare "realizzazione".
La regista di Brooklyn Eliza Hittman dirige un ritratto magnetico e amorale sulla ricerca dell' identità, in cui il dolore si evolve e diventa finalmente realizzazione.